CALCIO FEMMINILE, CAROLINA MORACE SI RACCONTA A STEFANO SANTACHIARA

Modenasportiva.it ospita oggi un estratto della lunga e interessante intervista esclusiva realizzata dal giornalista Stefano Santachiara a Carolina Morace e pubblicata sul suo blog stefanosantachiara2.wordpress.com. Per leggere la versione integrale dell’intervista clicca qui.

Carolina Morace. Avvocato, pioniera del calcio femminile, bomber e allenatrice, opinionista, Fifa’s Legend, Fifa e Uefa Instructor. Sempre per la FIFA impegnata in Papua Nuova Guinea e in Iran. Prima donna nel 2015 ad entrare nella Hall of Fame istituita dalla Fgci e dalla Fondazione museo del calcio quattro anni prima. Scendendo in campo per un’intervista, mi tremano le gambe… ci provo.

1) Morace centravanti. Esordio a 11 anni a Venezia, tre anni dopo già in Nazionale, un’avventura durata un ventennio e 105 gol, con la quaterna di Wembley nel ’90 che resiste come record assoluto fra uomini e donne; due volte finalista agli Europei, dodici scudetti e 13 volte capocannoniere. Qual è stata la più grande emozione sul campo?

Sicuramente i 4 goals a Wembley. Credo che per ogni individuo che ami il calcio, Wembley rappresenti il Tempio di questo sport. Ed il mio allenatore me l’aveva detto: “Se segni qui puoi dire di essere una giocatrice di calcio”.

2) Che differenze riscontra a livello di gioco fra le squadre femminili di allora e di oggi?

Oggi tatticamente le squadre sono più preparate, noi marcavamo a zona mista con il libero comunque staccato, mai in linea. Era la zona mista di Sacchi con Baresi posizionato sempre qualche metro dietro alla linea difensiva… Adesso giocano tutti a zona poi, in base alle capacità del tecnico, puoi anche vedere un gioco organizzato, i sistemi di gioco sono ben definiti.Tecnicamente eravamo molto forti, certo oggi la velocità è maggiore. Però non è un caso che la mia generazione sia arrivata ad essere per due volte vice campione d’Europa. C’erano giocatrici straordinarie come Vignotto, Ferraguzzi, Bonato, Ciardi, Marsiletti. Tante altre forti, dovrei citarle tutte. Ma non c’era la televisione, anche i dirigenti sono colpevoli perchè venivano a vederci raramente. Sono sicura che avremmo entusiasmato la gente.

3) Solo dal 2015 alcune società professionistiche investono nel calcio femminile, ma le atlete restano ancora senza salario minimo, assistenza sanitaria, contributi previdenziali, Tfr, maternità e ferie pagate. Quali passi concreti occorrono per raggiungere la parità?

Quando si parla di parità bisogna essere chiari. Qui non si invoca la parità salariale. I calciatori generano un business che, forse, un giorno raggiungeremo anche noi. Ma ora siamo solo all’inizio del nostro percorso. Tutto ciò che hai menzionato deve essere la priorità perché è impossibile dare il massimo se non si hanno le minime garanzie sul proprio futuro. Cosa accadrà quando le atlete smetteranno di giocare ed entreranno nel mondo del lavoro con un ritardo di almeno 15 anni rispetto i loro coetanei? E molte atlete decidono di non proseguire gli studi.

4) Nel suo libro La prima punta (People editore, 2019), racconta come le venne spontaneo giocare a calcio nella struttura della Marina Militare (per via del padre ufficiale) dove c’erano attrezzature sportive.

E’ naturale che in presenza di strutture sportive i bambini siano liberi di sperimentare e scegliere lo sport preferito senza essere condizionati dai genitori. Che di solito, inevitabilmente, scelgono per i figli lo sport da praticare.

5) Il sistema non destina risorse adeguate nei settori giovanili e nelle categorie inferiori del calcio femminile poiché considera insufficiente il ritorno economico in termini di immagine e pubblicità. Come superare questa barriera anche culturale?

Scegliendo le giuste persone nei posti chiave. Non è un caso che il progetto di sviluppo del calcio femminile sia stato fatto da un manager cinquantenne, Michele Uva, quando era direttore generale della Federazione (dal 2009 al 2018 nda).

6) Passiamo a Morace tecnico: prima donna al mondo ad allenare una squadra maschile, la Viterbese in C1 nel 1999. Come andarono le cose?

Dopo la partita persa fuori casa con il Crotone per 5 a 3 (con 3 calci di rigore contro) mi chiamò Gaucci dicendo che voleva licenziare il mio preparatore fisico, il professor Luigi Perrone. Io gli risposi che se avesse mandato via lui avrebbe dovuto mandare via anche me. Gaucci mi disse ‘no, lei non la mando via’ ed allora io gli dissi che mi sarei dimessa. La stima era reciproca. Mi fece poi chiamare da tutti ma un’interferenza del genere, quando capita una volta, capiterà anche la seconda volta. Tanti allenatori accettano, io no.

7) Alla guida della Nazionale italiana nel 2004 conquistò il quarto posto nella Algarve Cup, dopo aver battuto Cina e Finlandia. La Federazione, all’epoca, aveva intenzione di investire nel progetto?

No.

8) Da ct del Canada, con staff tutto italiano, conquistò la Concacaf Women’s Gold Cup nel 2010, poi è stata allenatrice e direttrice tecnica di Trinidad e Tobago. Le sostanziali differenze tra questi paesi e il nostro come organizzazione e come impatto sul pubblico?

In Canada il calcio femminile è lo sport più popolare, in Italia siamo ancora indietro ma sulla buona strada se la Figc continuerà a credere in questo sport. A Trinidad & Tobago sono in via di sviluppo ed hanno molti problemi organizzativi in genere.

9) Perché le calciatrici Usa sono le più preparate atleticamente del mondo?

Il bacino in cui scegliere è molto ampio, crescono da generazioni a generazioni facendo sport. Sarà in grado di battere le americane una squadra che reggerà il loro passo, con l’aiuto dell’organizzazione di gioco: si può fare. In questo Mondiale ho visto qualcosa tatticamente solo dalla nazionale olandese e da quella italiana.

(di Stefano Santachiara)

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