CARPI, ALLA FINE DI UN CICLO. DI CHI SONO LE COLPE?

Il Carpi ha fatto davvero tutto il possibile per salire? E Castori, invece?

Se il Carpi sia uscito a testa alta o no da Benevento, lo lasciamo alle vostre personali inclinazioni. Meno personali invece sono le considerazioni su questa finale play-off, dilatabili a tutta la stagione carpigiana. I “falconi” l’hanno giocata come una finale va giocata? Hanno lasciato davvero tutto sul terreno del Vigorito, fisicamente e mentalmente? E Castori quali responsabilità ha, se ne ha?

Certo, a poche ore da una finale persa la ferita è ancora aperta. Ci sono i sostenitori “della testa alta”, quelli che “il Benevento ha vinto, il Carpi non ha perso”, ma anche i più concreti sulla linea del “ma quale grazie e grazie, con tre gol fatti nei play-off”. Ci sta, succede ovunque, cambia solo la risonanza del bacino d’utenza.

Partiamo da una premessa doverosa per non essere fin troppo bastardi. È indubbio che il Carpi, ad un certo punto della stagione, non si aspettava più di giocarsi i play-off, non a caso rimasti in forse fino all’ultimo round. È altrettanto giusto ricordare l’impresa di Frosinone, in grado di offuscare il colpo a Cittadella. Tutto bellissimo, ma…?

Ma alla fine il filo conduttore della stagione è emerso. Quel filo di una squadra un po’ incompiuta, un po’ lunatica, un po’ altalenante. Sempre con l’impressione di poter spiccare il volo, salvo poi precipitare in gare sulla carta semplici. E di rialzarsi in momenti di apnea. Un incubo per gli scommettitori, ma anche per i tifosi. Legati ad un mix di grinta, impegno e cattiveria, ormai diktat castoriano. Che forse dopo tre anni ha pure stancato.

Col Benevento in 180 minuti un saggio perfetto di tutto ciò. Un’ottima lirica difensiva, pochissime stecche. Anche a Benevento, nell’ultima partita dell’anno. La più importante, decisiva, attesa. Che Castori si gioca senza Lasagna, l’unica vera arma, e con la benché minima voglia di affacciarsi di là.

“Ma Kevin l’avrebbe messo per spaccare la partita”

-è una scusa che non regge, quando le alternative si chiamano Mbakogu-Fedato (…chi?) e al triplice fischio sarà tutto finito. Come se difendere lo zero a zero servisse a qualcosa, insomma. Con l’aggravante del vantaggio per gli avversari, che avrebbero potuto portarla a casa con qualsiasi pareggio. Evidentemente nessuno aveva spiegato la regola al buon Fabrizio.

Il quale, comunque, i suoi meriti li ha. In tre anni ha tenuto una squadra dal valore di circa venti milioni (che non sono tanti, il Verona ne vale trenta) in zone alte, cavalcando quel sogno chiamato Serie A. Ma che dà ormai la sensazione di esser giunto alla fine del suo mandato. Anche se non lo dice, dacché le sue dichiarazioni ai microfoni sono quanto di più sterile ci possa essere, mediaticamente parlando.

Forse il Carpi non l’ha giocata come andava giocata, una finale.
Forse il Carpi non l’ha giocata come andava giocata, una finale con in palio la A. La A… la A diamine!
Forse il Carpi non ne aveva più, per giocarla, questa finale.

E se tutti si dicono ormai sicuri del Benevento retrocesso nella prossima stagione, perché il Carpi avrebbe dovuto fare qualcosa di diverso dalla comparsata? L’avrebbe fatta, come forse succederà a Spal o Benevento. Troppo utile non è. E quindi che ben venga una ventata d’aria nuova, va là.

Gigi Ferrante

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