Mickael, sei nato a Palmanova (Udine) ma cresciuto calcisticamente nelle giovanili del Rimini. Qual è la tua storia?
Ho cominciato nell’Udinese, rimanendo lì fino alla categoria Allievi. Feci solo un anno nella Primavera del Rimini perché poi mi trasferii in Serie D, per continuare al meglio il mio processo di crescita. Andai vicino a casa, al Portogruaro, ma poco tempo dopo mi visionò il Prato e dunque mi spostai in Toscana.
Come ti sei appassionato al calcio?
Questa passione me l’ha trasmessa mio padre, che è stato un calciatore anche lui. Lo andavo sempre a vedere quando ero piccolo. E’ una passione che ha trasmesso anche a mio fratello.
Hai giocato parecchio in Toscana, ci sono piazze molto “calde”?
Dipende dalle squadre. Ti posso raccontare dell’esperienza a Siena, visto che ci sono andato dopo il fallimento dalla Serie B e la ripartenza dalla D. C’era molto entusiasmo e siamo riusciti a riportare subito la squadra in Serie C.
Sei sempre stato un terzino o hai ricoperto anche altri ruoli?
Ho fatto il centrale nella difesa a tre a Pistoia e Siena. Altrimenti ho sempre giocato in fascia, sia terzino che quinto di centrocampo.
In passato hai avuto un grave infortunio…
Si, ho avuto una iperetensione del ginocchio destro. Pensavo di essermi lesionato i legamenti del crociato che, per fortuna, ha tenuto. Però sono dovuto stare fermo un paio di mesi perché non riuscivo a guarire da questo edema osseo.
Come si fa a recuperare dal punto di vista mentale da infortuni di questo tipo?
Devi essere forte e lavorare tre volte rispetto al normale. Perché prima recuperi, prima stai meglio e prima riesci a tornare in campo.
Nell’ultima sfida al Braglia col Piacenza hai indossato la fascia da capitano, che emozione è stata?
E’ stato bello, non me l’aspettavo. Sapevo di essere vice-capitano più che altro per l’età, essendo la nostra una squadra molto giovane. E’ stato un onore indossare la fascia da capitano di un club strorico e glorioso come quello gialloblù.
Ti senti uno dei leader di questo gruppo?
Si, diciamo che sono uno dei “vecchietti” del gruppo. A fine stagione avrò 30 anni e qualche campionato alle spalle ce l’ho. Diciamo, però, che non sono uno di quelli che sta molto addosso ai giovani, anzi. Se posso cerco di dare loro una mano e qualche consiglio, perché in campo siamo tutti uguali. Penso che sia meglio così per la crescita mentale dei ragazzi. Quando ero giovane io, i veterani erano molto più rigidi di adesso.
Davvero?
Si, certamente. Per esempio, non potevi stare sul lettino a farti massaggiare in loro presenza e dovevi scendere subito. Era tutto diverso, e parliamo di dodici o tredici anni fa.
Come ti trovi a Modena?
E’ una bella città. Me ne avevamo già parlato bene prima che arrivassi. Ti offre tutto. Peccato solo non avere con me la mia famiglia, perché altrimenti sarebbe stato perfetto. Abbiamo fatto alcune scelte famigliari che mi hanno portato a venire qui da solo. Ma appena posso torno a casa, o loro vengono qui da me. Spero di rimanere a vivere a lungo a Modena, perché si sta bene.
L’arrivo di mister Mignani ha portato una grande solidità difensiva. Che cosa è cambiato?
Dal primo giorno in cui è arrivato, il mister ha cercato di lavorare sulla testa dei giocatori, e penso che questo si sia visto. A livello difensivo siamo passati a 4 e il mister ci ha spiegato pochi concetti ma giusti per avere le idee chiare e sapere cosa fare in ogni situazione di gioco. Questo lo stiamo dimostrando di partita in partita.
Hai altre passioni oltre al calcio?
Mi piace guardare molti film o telefilm. Non ho grandi passioni in particolare. Sono sempre stato affascinato dal mondo dell’informatica: in passato ho seguito anche dei corsi, perché noi calciatori, che abbiamo la fortuna di fare questo “lavoro”, abbiamo molto tempo libero a disposizione. Devi sempre, però, avere la possibilità di battere altre strade, perché puoi essere costretto a smettere da un giorno all’altro.
MA
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