
Il Tour de France si è appena concluso con la vittoria di Chris Froome e il ciclismo si appresta a iniziare il periodo delle classiche estive di un giorno, mentre i grandi specialisti delle corse a tappe si ridaranno appuntamento sulle strade del. Vuelta di Spagna. Il ciclismo continua, col caldo o col freddo, col sole o con la pioggia battente, ma questo sport e’ così: passione divorante, sfida con sé stessi, condivisione e sublimazione della fatica. Ne sa qualcosa Fabio Gilioli, solierese, classe 1979, ciclista professionista dal 2002 al 2008 e da qualche anno ideatore dello spazio “Sessantallora”, a Carpi, in via dell’Industria 91. Oggi ripubblichiamo una bella intervista di Francesco Rossetti uscita sul settimanale Vivo qualche tempo fa.
Fabio, come sei passato dal professionismo all’idea di “Sessantallora”?
Già quando correvo, avevo abbastanza chiaro quello che mi sarebbe piaciuto fare: ottimizzare l’esperienza acquisita in tanti anni di corsa, mettendola al servizio degli amatori e di tutti coloro che vogliono affacciarsi al mondo del ciclismo. Offrire un approccio professionale alla bici, partendo dalle basi.
Quali sono le basi?
Si va da elementi di biomeccanica – la postura corretta, l’assetto sulle due ruote – per arrivare alla pianificazione dell’allenamento, ai programmi alimentari, etc. Insieme ad alcuni complici ho voluto sviluppare un format per seguire il ciclista a 360%. Che da noi trova il centro biomeccanico, consulenze sportive, una squadra con cui potersi allenare in compagnia, amici, fare training camp, viaggi, tour, travel, etc.
Eppure il ciclismo non ha una bella immagine in questi anni. Per il doping…
I primi scandali uscirono fuori nel 1997. Il primo veramente grosso fu al Tour del 1998 con il caso della squadra Festina. E’ vero, sono diciott’anni che si associa il ciclismo al doping.
Secondo te, c’è davvero qualcosa di sbagliato nel professionismo?
Alcuni casi sono stati eclatanti, è vero. Fra la fine degli anni ‘90 e l’inizio dei ‘2000 la situazione era particolarmente grave. Io passai professionista nel 2002 e le cose, posso garantirlo, a livello di controlli, erano nettamente cambiate. L’antidoping era diventato veramente pesante, con la reperibilità 24 ore al giorno degli atleti. Ma, certo, non ti nego che qualche caso di doping continua a verificarsi, ogni tanto. Fa parte dell’indole umana provare a esser più furbi degli altri. Nel ciclismo, ma anche negli altri sport e in tutti gli altri ambiti della vita, diciamo la verità. Poi penso anche che il problema del doping sia stato gestito male a livello politico.
Parliamo di te: quando è scattata la passione per le due ruote? Te l’ha passata un genitore?
No, è successo tutto per caso, coincidenze, intorno ai 10-11 anni. D’estate, un amico mi disse: perché non vieni in bicicletta anche tu? Mi è piaciuto subito, mi sono innamorato della bici, dello stare all’aria aperta, del pedalare in giro tutto il giorno e scoprire posti nuovi. Ho iniziato quasi subito a far le gare, ho visto che arrivavo secondo, terzo, quarto, che cominciavo anche a vincere e mi ci sono dedicato.
Che tipo di corridore eri?
Andavo bene in salita. Però, attenzione, non ero Pantani. Nelle categorie giovanili ero forte, infatti sono passato professionista come una giovane promessa, poi però ho fatto una carriera normalissima. Vinto una gara, fatto dei piazzamenti. Ho corso la Vuelta di Spagna e gare a tappe in tutto il mondo, dalla Malesia al Giappone, dall’Australia agli Stati Uniti.
Della vicenda Pantani, cosa ne pensi?
A prescindere dal fatto che è stato beccato positivo, ritengo che fosse il più forte in assoluto. L’ho visto pedalare, ci ho corso insieme, era nettamente il più forte. Avrebbe comunque continuato a vincere tanto, purtroppo è stato uno di quei casi in cui serviva un capro espiatorio, perché non faceva niente di diverso da quello che facevano gli altri in quegli anni lì.
Quali consigli per chi vuol cominciare?
Io sprono sempre tutti. A prescindere dal risultato, lo sport è un’ottima scuola di vita. Ti insegna a sopportare la fatica, a diventare più determinato e forte. Sta nel ragazzo capire come non scendere a compromessi. Sarebbe bene avere una famiglia vicino. Lontano da casa, è più facile perdersi. Insomma consiglio a tutti di mettersi in gioco, oggi i ciclisti vengono anche pagati bene, a differenza di quando ho corso io, te l’assicuro. Quando correvo io da ragazzino, andare in bicicletta era un po’ da sfigati, adesso è diventato più cool!
Di Francesco Rossetti