
Un vero e proprio lutto nazionale. Così fu vissuta in Brasile la sconfitta subita dalla Selecao contro l’Uruguay nella finale della Coppa del Mondo del ’50, la prima disputata in casa. Una partita rimasta nell’immaginario collettivo dei brasiliani al punto che persino i ragazzi più giovani vedono nel Mondiale di giugno una grande occasione di riscatto. Bisogna dire che i primi Campionati del dopo guerra furono all’insegna delle sorprese e del catenaccio, il modulo tattico adottato per prima dalla Svizzera che, a differenza del cosiddetto Sistema, garantiva maggiore protezione in difesa. E fu proprio grazie al catenaccio che i semisconosciuti calciatori statunitensi sconfissero 1-0 i maestri inglesi, per la prima volta ad un Mondiale, ma soprattutto che l’Uruguay dei tanti oriundi ebbe la meglio su un Brasile fortissimo, ma troppo sicuro e ultra offensivo.
Una formula curiosa, quella del Mondiale del ’50, con un girone finale ad assegnare il titolo dopo i gruppi eliminatori. Ad arrivarci, oltre a Brasile e Uruguay, furono la Spagna e la sorprendente Svezia che si era imposta sull’Italia campione del mondo in carica. Nel girone finale il Brasile travolse sia la Svezia che la Spagna (7-1 e 6-1), mentre l’Uruguay faticò con entrambe (2-2 con gli iberici e 3-2 agli scandinavi). Alla sfida decisiva si arrivò con il Brasile in vantaggio di un punto e con due risultati su tre a disposizione. Sembrava una formalità, al punto che i dischi inneggianti ai “campeao do mundo” vennero venduti in gran quantità ancora prima della partita.
Il gol segnato dall’ala destra carioca Friaca al 2’ della ripresa, dopo un primo tempo di assalti alla difesa uruguaiana chiusa a catenaccio, non fece altro che confermare le certezze brasiliane e i tifosi cominciarono a festeggiare in anticipo. Al 22’ però, tra lo stupore generale, la “Celeste” pareggiò con “Pepe” Schiaffino, oriundo originario di Chiavari, e sei minuti più tardi la piccola ala sinistra Ghigghia portò in vantaggio gli urugaiani. Il silenzio cadde sul Maracanà. Il Brasile si gettò all’attacco a testa bassa ma la difesa avversaria resse fino al termine consentendo all’Uruguay di conquistare il suo secondo titolo mondiale. Il Brasile dovette invece attendere altri otto anni e l’avvento di Pelè, per poter arrivare finalmente sul tetto del mondo.
E l’Italia? Il Mondiale del ’50 non fu certo fortunato per la nostra Nazionale, detentrice del titolo, vinto 12 anni prima in Francia. La squadra Azzurra che andò in Brasile era una squadra completamente rifondata, dopo il disastro di Superga e la morte di tutti i giocatori del Grande Torino, che ne costituivano l’ossatura. In panchina non c’era più Vittorio Pozzo, ma Ferruccio Novo, che del Torino era il presidente.
Il fallimento dell’Italia in Brasile iniziò con un viaggio, molto discusso. Si scelse di partire in nave e non in aereo. Troppo fresco era il ricordo di Superga perché i giocatori non fossero intimoriti da un volo così lungo! Una traversata di 17 giorni, dal 2 al 19 giugno, che di sicuro influì sulla condizione atletica degli Azzurri. Il girone, con Svezia, Paraguay e India (che all’ultimo si ritirò) non pareva però così complicato. Il 25 giugno la Nazionale esordì contro la Svezia e al ‘7’ era già in vantaggio con l’ala Carapellese. Sembrava tutto facile, ma gli Scandinavi, più in forma fisicamente, prima pareggiarono, poi segnarono altri due gol rendendo inutile quello di Muccinelli per il 3-2. La successiva vittoria per 2-0 contro il Paraguay non servì a nulla. L’Italia tornava a casa.
Giovanni Botti