
Sabato primo giugno si è chiuso un cerchio, lungo 25 anni. Dopo un quarto di secolo Andrea Bertolini, pilota sassolese, ha deciso di chiudere la propria straordinaria carriera nel motorsport costellata di 10 titoli internazionali. L’ultima parola a Monza, in occasione del secondo appuntamento del GT World Challenge Europe – Endurance Cup, in una conferenza stampa dove giornalisti, fotografi, uomini della comunicazione lo hanno salutato e omaggiato. Era la sua 309ª gara e ha chiuso al quarto posto nella Bronze Cup, sfiorando il podio sul quale era salito in precedenza 128 volte, siglando 58 vittorie, 26 pole position e 17 giri veloci. Numeri eccezionali di una carriera straordinaria.
Ha scelto l’Autodromo Nazionale Monza, perché nel tempio della velocità aveva iniziato a correre nel 2001, al volante di una Porsche nel campionato FIA GT. La sua ultima gara è stata con una Ferrari 296 GT3, la numero 52 del team AF Corse – Francorchamps Motors. Ma nella sua lunga carriera lo abbiamo sempre visto correre, e spesso vincere, al volante di auto modenesi: oltre alla Casa di Maranello, anche Maserati, con la quale Bertolini ha fatto incetta di trofei, raccogliendo tutto quanto possibile nel campionato FIA GT con la MC12 (titoli internazionali, 24 Ore di Spa, fino al mondiale FIA GT1 nel 2010), ma anche con la Quattroporte Evo nell’International Superstars Series. Con la Casa di Maranello – da sempre, infatti, è legato ai due marchi – ha trionfato con la 296 GT3, 488 GT3 Evo 2020, 488 GT3, 488 GT3 e 458 Italia GT3 oltre ad aver sviluppato tantissime vetture nel suo ruolo di collaudatore. Alla sua ultima conferenza stampa erano presenti Stephan Ratel, il patron di SRO (l’organizzatore di tantissimi campionati), ed ex colleghi di team come Didi Cazzago (ora nello staff di SRO) e l’ingegnere Maurizio Leschiutta (ora in Lamborghini Corse).
Tra i 10 titoli conquistati, quale reputi il più importante?
“Quello del 2006 in quanto è stato l’anno della svolta, dopo tante delusioni. Ho iniziato a correre nel 2001 e alla mia prima stagione non sono riuscito a vincere. Poi nel 2003, con la Ferrari 360 GTC abbiamo perso il campionato FIA GT per un guasto meccanico. Nel 2004 ho iniziato lo sviluppo della Maserati MC12 e ho disputato solo quattro gare e anche in quella stagione non sono riuscito a vincere il titolo. Poi nel 2005, un’annata fantastica: all’ultima corsa in Bahrain era sufficiente arrivare quarti per diventare campioni, ma un altro guasto meccanico ci ha fermato. A quel punto ho iniziato seriamente a pensare che forse ero quel pilota che tutti riconoscono come veloce, ma sfortunato. Per questo il titolo del 2006 ha significato tutto. Mi ha cambiato dentro. Cominciare a vincere aiuta a rifarlo, e lo dico sempre ai ragazzi più giovani che seguo”.
Le vittorie che ricordi con più emozione?
“58 sono tante e non è semplice sceglierne una, perché ognuna ha qualche cosa di speciale. Posso dire di aver un legame speciale con la 24 Ore di Spa, perché a mio avviso, nel mondo GT, è la gara endurance più dura che ci sia. Quella del 2006 la considero come una delle vittorie più belle della mia carriera. Ma anche Le Mans ha il suo fascino, perché Le Mans è sempre Le Mans. E come dimenticare Monza? Vincere qui è qualche cosa di speciale”.
Il miglior ricordo di questa lunga avventura?
“Un solo ricordo non basta. Certo, le vittorie contano, ma per me sono state soprattutto le relazioni umane a fare la differenza. Le persone con cui ho condiviso emozioni, i momenti vissuti insieme, quelli restano. Una delle emozioni più forti? Il giorno in cui Jean Todt mi chiamò in ufficio per dirmi che avrei fatto i test con la F1. Lo sognavo da bambino… e poi mi sono ritrovato davvero lì”.
Quale eredità lasci alle nuove generazioni?
“Forse bisogna chiederlo a loro. Quello che posso dire è che sono partito da zero. Mio padre non era nel motorsport, voleva solo tenermi lontano da brutte strade. Ho fatto tutto da solo, passo dopo passo. E poi ho avuto la fortuna di incontrare le persone giuste, al momento giusto. Ma devi essere pronto: l’occasione arriva, ma se non sei preparato, non torna più. Il rapporto umano con chi lavorava con me mi ha aiutato tanto. Puoi avere talento, ma se non ci metti testa e lavoro, non resti a lungo. Io sono orgoglioso di aver deciso da solo quando smettere. Sono stato io a decidere quando dire basta e questo è un privilegio.”
Come si riparte dopo un fallimento?
“La mia forza è stata quella di saper resettare. Sempre. Ho una famiglia splendida che mi dà energia. Anche nei giorni difficili, loro mi aiutano tanto. E poi il giorno dopo è un altro giorno: devi solo migliorare ancora, curare i dettagli, e riprovare. Non ho mai sentito la pressione, forse questa è stata la mia forza”.
Cosa ti mancherà di più?
“Il confronto con gli altri, la sfida continua. Forse mi inventerò qualcosa con mio figlio, magari faremo gare in discesa con le bici…”.
Ci potrà essere un “nuovo Bertolini”?
“Spero di sì e spero sia meglio di me! Il mio consiglio? Scegliere di circondarsi di persone vere, che ti dicono subito quando sbagli. Se vuoi migliorare, devi saper riconoscere gli errori. Essere veloci non basta. In questo sport c’è memoria lunga per gli errori: fai tre cavolate e sei etichettato. Ci vuole intelligenza. Il pilota è solo la punta dell’iceberg: dietro c’è un team che lavora sodo. Il tuo nome resta se vinci. Devi mettere il tuo nome sull’albo d’oro. Quello è ciò che conta”.
Il prossimo capitolo?
“Sempre nel motorsport. Non appenderò però il casco al chiodo… Continuerò a lavorare allo sviluppo delle auto Ferrari e Maserati, e sarò a Spa, alla prossima 24 Ore, a seguire i miei compagni sulla 52 e gli altri piloti ufficiali della Casa di Maranello. I giovani mi mantengono giovane”.